Come Un Semplice ” Attrezzo” Ha Ridotto Le Dita In Poltiglia: Il Macabro Segreto Della Vite A Pollice!

Nei corridoi oscuri dell’Europa moderna, dove il potere si manteneva attraverso la paura e il dolore, un dispositivo apparentemente semplice emerse come il preferito dei torturatori: la morsa per i pollici. Questa piccola morsa moderna era progettata per schiacciare dita delle mani o dei piedi con una precisione straziante, lasciando le vittime a contorcersi in agonia, senza più una vita da confessare. Mentre la storia è disseminata di metodi di tortura barbari come la ruota spezzatrice o il raccapricciante scafismo persiano, la brutale efficienza della morsa dimostrò che a volte gli strumenti più semplici infliggono le ferite più profonde.

La vite a pollice, spesso chiamata “thumbscrew” o “pilniewinks”, era un capolavoro di crudele minimalismo. Al suo interno, consisteva in due barre di ferro piatte collegate da aste metalliche. Un meccanismo a vite permetteva a una barra di scorrere più vicino all’altra, schiacciando le dita delle mani o dei piedi della vittima con una pressione incessante. Alcune versioni erano piccole e colpivano solo il pollice, mentre altre potevano schiacciare più dita contemporaneamente. Per un tormento ancora maggiore, alcune viti erano rivestite di punte aguzze che perforavano la carne mentre la vite si stringeva, amplificando il dolore a livelli insopportabili.

Il funzionamento del dispositivo era agghiacciante. Un torturatore infilava le dita della vittima tra le sbarre e girava lentamente la vite, comprimendo carne e ossa. Il ritmo era ponderato, a volte una stretta rapida e scioccante, seguita da torsioni atrocemente lente per prolungare la sofferenza. Le ossa si scricchiolavano, i tendini si laceravano e i nervi urlavano. Tuttavia, a differenza di molti metodi di tortura, la vite non era progettata per uccidere. Il suo scopo era infliggere un dolore puro e incessante, il che la rendeva uno strumento indispensabile per estorcere confessioni o punire i ribelli.

Le origini dello schiacciapollici sono avvolte nel mistero, e gli storici ne ricostruiscono il tetro viaggio attraverso i continenti. Alcuni ne fanno risalire le radici alla Gran Bretagna del XVI secolo, dove compariva nei resoconti dei processi alle streghe. Nel 1596, Aleson Balfour, accusato di stregoneria, vide suo figlio subire 57 colpi con stivali di ferro e la figlia di sette anni torturata con i “Pilniewink” per estorcerle una confessione. Questo suggerisce che lo schiacciapollici fosse già un terrore noto in Gran Bretagna, probabilmente introdotto durante l’invasione dell’Invincibile Armata spagnola.

Altri studiosi indicano la Russia, dove si dice che la morsa per i pollici fosse usata per disciplinare i soldati indisciplinati dell’esercito zarista. Indipendentemente dal luogo di origine, lo strumento si diffuse in tutta Europa a macchia d’olio, diventando un elemento fondamentale nelle prigioni e nelle aule di tribunale. Veniva utilizzato per estorcere confessioni a sospetti criminali, estorcere segreti ai rivali o persino, in un caso tristemente noto, per dimostrare la veridicità di un’accusa di stupro. All’inizio del XVII secolo, l’artista italiana Artemisia Gentileschi, accusando il suo tutore Agostino Tassi di aggressione, fu sottoposta alla tortura della morsa per i pollici in tribunale per verificare le sue affermazioni. Nonostante il dolore lancinante, rimase risoluta, ripetendo: “È vero, è vero, è vero”.

Ciò che rendeva la chiave a brugola particolarmente sinistra era la sua trasportabilità. A differenza degli strumenti di tortura discendenti come il cavalletto, la chiave a brugola era sufficientemente compatta da poter essere trasportata nella tasca del torturatore, pronta per essere impiegata in prigioni, tribunali o persino a bordo delle navi. Durante la tratta atlantica degli schiavi, gli schiavisti usavano le chiavi a brugola per schiacciare lo spirito dei leader della rivolta, assicurandone l’obbedienza attraverso l’agonia del brutale passaggio intermedio.

La versatilità del dispositivo si estendeva oltre i pollici. I torturatori lo applicavano anche agli alluci, che sostengono il 40% del peso di una persona quando cammina, rendendo il dolore non solo immediato, ma anche debilitante a lungo termine. Alcune viti a testa zigrinata venivano adattate in modo da schiacciare braccia, gambe o persino teste, applicando lo stesso spietato principio a parti del corpo più grandi. Il risultato era sempre lo stesso: sofferenze strazianti che spezzavano anche le volontà più forti.

L’orrore dello schiacciapollici non terminava quando la vite smetteva di girare. Le vittime si ritrovavano spesso con le dita frantumate, che alteravano per sempre le loro vite. I pollici, essenziali per impugnare strumenti, armi o persino redini, erano resi inutilizzabili, rendendo le attività quotidiane una vera e propria lotta. Un pollice danneggiato poteva marchiare la vittima come bersaglio di futuri tormenti, poiché gli inquisitori potevano facilmente individuare coloro che avevano torturato in precedenza. Anche le dita grandi, vitali per l’equilibrio, erano altrettanto vulnerabili, lasciando i sopravvissuti con un’andatura zoppicante e un dolore costante dovuto a danni ai nervi.

Il costo psicologico fu altrettanto devastante. Notti insonni colme di dolore indebolivano la determinazione delle vittime, rendendole più inclini a confessare, intenzionalmente o meno, solo per sfuggire alla vittima Christina Agudelo. Le false confessioni, nate dalla disperazione, erano comuni, poiché l’agonia della tortura spingeva molti a dire qualsiasi cosa per porre fine alla tortura.

L’eredità dello schiacciapollici è di una crudeltà calcolata. La sua semplicità superava la sua efficacia, riducendo le dita in poltiglia e facendo vivere in incubi. Non era solo uno strumento di dolore, ma un’arma di controllo, usata da monarchi, eserciti e fanatici religiosi per piegare la volontà dei loro nemici. La sua portabilità e adattabilità lo resero il sogno di ogni torturatore, capace di infliggere sofferenza ovunque, in qualsiasi momento.

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