Nel XIX secolo d.C., in una regione dell’Africa centrale, nacque uno degli oggetti musicali più enigmatici e inquietanti della storia etnomusicologica: una lira costruita utilizzando un cranio umano, corna di antilope, pelle, budella e capelli. Questo strumento, oggi conservato in alcuni musei europei, rappresenta non solo una straordinaria opera d’artigianato, ma anche un documento culturale complesso, che riflette le credenze spirituali, le pratiche rituali e le concezioni artistiche di alcune comunità africane dell’epoca.

La lira centroafricana, chiamata anche “inanga” o “krar” in alcune regioni, è uno strumento a corde antichissimo, diffuso in molte parti dell’Africa subsahariana. Tuttavia, la versione realizzata con parti del corpo umano è un caso eccezionale. Secondo alcuni studiosi, essa veniva realizzata in contesti rituali particolari, spesso legati al culto degli antenati o a pratiche religiose tradizionali. Il cranio umano utilizzato, probabilmente appartenente a una figura venerata o a un nemico sconfitto, diventava la cassa armonica della lira, simboleggiando un legame tra il mondo dei vivi e quello degli spiriti.
Le corna di antilope, poste come decorazione o struttura di supporto, rappresentavano forza, agilità e connessione con la natura selvaggia. La pelle, probabilmente di animale, veniva tesa sopra la cassa per creare una superficie di risonanza. Le budella, trattate e trasformate in corde, producevano il suono vero e proprio, mentre i capelli umani venivano talvolta intrecciati come ornamenti o simboli identitari. Ogni materiale usato aveva un significato profondo, e lo strumento non era solo un mezzo per fare musica, ma anche un oggetto sacro, un canale per comunicare con il divino.
Durante il periodo coloniale, molti oggetti come questo furono raccolti, spesso con la forza o con mezzi ingannevoli, da esploratori, missionari o collezionisti europei, per essere esposti nei musei occidentali come “curiosità esotiche” o “trofei” culturali. Oggi, tali strumenti sollevano importanti domande etiche: a chi appartiene veramente questo oggetto? Può essere considerato solo un manufatto artistico o è anche una reliquia umana e spirituale che merita rispetto e, forse, restituzione?
Dal punto di vista musicale, la lira realizzata con un cranio umano aveva un suono profondo e cupo, probabilmente usato durante cerimonie, funerali, o riti di passaggio. La musica prodotta non aveva solo funzione estetica, ma anche terapeutica, sociale e religiosa. Suonare la lira significava evocare gli spiriti, narrare storie ancestrali o guidare una comunità in momenti di transizione. Era uno strumento per tramandare la memoria collettiva e rafforzare l’identità del gruppo.
Oggi, antropologi, musicologi ed esperti di conservazione stanno cercando di ricostruire la storia e il contesto di strumenti come questo. Grazie a nuove tecnologie e alla collaborazione con le comunità africane da cui provengono, si cerca di capire meglio il significato originale e il valore culturale di tali opere. Alcuni propongono la restituzione degli strumenti ai paesi di origine, altri suggeriscono di conservarli nei musei ma con una narrazione più rispettosa e consapevole della loro storia.
In definitiva, la lira centroafricana costruita nel XIX secolo con materiali così insoliti rappresenta molto più di un semplice oggetto sonoro. È il frutto di una visione del mondo in cui la musica, la spiritualità e la materia si intrecciano in modo profondo. È un invito a riflettere sul rapporto tra cultura materiale e immateriale, tra arte e rituale, tra vita e morte. E soprattutto, è un monito a guardare con rispetto e umiltà le culture diverse dalla nostra, riconoscendo in esse forme di sapere, di bellezza e di espressione che spesso la storia ha ignorato o mal interpretato.